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Le Società Benefit, intervista a Claudio Morelli

4 minuti di lettura

Le Società Benefit nascono in Italia con la Legge 208 del 28 dicembre 2015, commi dal 376 al 384, e rappresentano una vera novità perché è stato così legittimato il perseguimento di finalità ulteriori a quelle di lucro, consentendo di affiancare l’interesse della collettività all’interesse dei soci, tradizionalmente sovrano (ed è diverso il caso rispetto all’Impresa Sociale, che non deve distribuire gli utili).

I campi d’impatto sono rappresentati da fornitori, clienti, dipendenti, stakeholder territoriali e l’ambiente, che possono essere declinati in modo molto libero negli statuti delle società.

Prima di questa legge c’erano già nella norma italiana e comunitaria “infiltrazioni” che aprivano al riconoscimento di un impegno volontario dell’impresa per obiettivi di impatto sociale o ambientale (per es. la possibilità di introdurre nelle gare d’appalto per contratti pubblici delle premialità per le imprese con sistemi certificati di qualità ambientale o di responsabilità sociale), ma l’ordinamento italiano rendeva contestabile la costituzione di società con finalità non esclusivamente lucrative (ai sensi dell’art. 2247 del codice civile secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata).

Adesso, con l’acquisizione dello status di Società Benefit, la compagine sociale decide volontariamente di vincolare l’organo amministrativo a rispettare la missione di beneficio comune, pena la responsabilità per inadempimento degli amministratori secondo le disposizioni applicabili al tipo societario coinvolto.

Oggi, tra le Società Benefit, ne troviamo una gamma molto varia: dalle grandi società (per esempio Illycaffé Spa, Aboca Spa, Chiesi Farmaceutica Spa) alle piccole iniziative imprenditoriali.

Scorrendo gli oggetti sociali, in qualche caso viene da chiedersi se non si tratti di maquillage per presentarsi in maniera più accattivante a un pubblico attratto dall’etica del fornitore.

Ma le Società Benefit costituiscono una sperimentazione coraggiosa o sono, invece, un mostriciattolo normativo?

Cerchiamo di capirlo da un imprenditore che ha deciso di lanciare una start up tecnologica con statuto di Società Benefit, Claudio Morelli, fondatore e amministratore delegato di Apuana SB. Apuana SB è una startup tecnologica che sta lanciando un sistema di tracciamento dei prodotti per garantirne l’origine, il tracciamento di filiera, l’autenticità, la sostenibilità e legalità lungo tutta la filiera produttiva. Per far questo impiega tecnologie avanzate e modelli operativi innovativi. Che sia una start up di sicuro interesse industriale lo testimonia il fatto che per partire ha raccolto 150mila euro direttamente dai potenziali utilizzatori.

Che cosa fa Apuana SB?

“Facciamo due cose. Servizi di tracciabilità per il manifatturiero italiano, per la garanzia della trasparenza dei processi di made in, dando al cliente finale gli strumenti per decidere per esempio se considerare o no un prodotto interamente made in Italy. E poi facciamo da aggregatori di filiera per prodotti lapidei del territorio che richiedono diverse lavorazioni, ovviamente garantendo la trasparenza del processo in quanto ci siamo impegnati a trattare solo prodotti che siano pienamente tracciabili”.

Perché ha deciso di dare uno statuto di Società Benefit a un’impresa che non si occupa di sociale, di cultura, di ambiente, ma di produzione e tecnologia industriale da vendere sul mercato?

“Apuana SB nasce da una storia radicata nel settore lapideo, del marmo, della pietra, e nelle imprese e nel territorio Apuano. Vogliamo essere utili, prima di tutto, a questo territorio, a queste imprese. Con questa premessa ci sono buone ragioni per uno statuto SB, con il quale ci siamo impegnati a non andar mai via da questo territorio.

La prima ragione è che le start up, se vanno bene, rischiano di diventare oggetti speculativi, e di perdere la finalità sociale d’impresa, perché credo che anche un obiettivo tecnologico debba avere una finalità sociale, o almeno per me è così. Se hai uno statuto SB, oltretutto difficile da modificare come abbiamo fatto noi alzando la soglia della maggioranza qualificata, è un po’ più difficile che domani Apuana vada contro i motivi per cui è nata.

La seconda questione è tecnica, ma importante. Apuana metterà a disposizione dei propri clienti un sistema di autocertificazione non ripudiabile e immodificabile nel tempo, che userà anche essa stessa per tracciare le proprie produzioni, quindi, potrebbe nascere il sospetto di un conflitto di interessi. Uno statuto SB espone alla valutazione pubblica – e addirittura alla possibilità di denuncia – al Garante della Concorrenza che può, da parte sua, comminare sanzioni. Tutti dovrebbero sentirsi più garantiti: etica e trasparenza.

Infine c’è da considerare l’effetto marketing: osservando che la sensibilità della domanda per la sostenibilità ambientale e sociale sta aumentando – trainata dai millennials – abbiamo deciso di dare molto spazio alla tracciabilità dei fattori ambientali e sociali. Così abbiamo unito l’applicazione socialmente benefica della nostra tecnologia con l’impegno di Apuana SB nella stessa direzione: convergenza strategica e guadagno di credibilità”.

Cosa comporta gestire una SB rispetto a un’impresa “normale”?

“Sei vincolato a rispettare gli obblighi che ti sei dato, non solo davanti alla legge: hai i soci e tutto il mondo dei tuoi clienti, fornitori, concorrenti, amici e nemici che può giudicarti e dire la sua, rimandandoti al Garante della Concorrenza.

Non ci sono vantaggi o agevolazioni fiscali, però è anche una libertà: se qualcuno ti tira per la giacca, fai meno fatica a dire di no. Anche la strategia diventa più stabile, con dei vantaggi, io credo, anche di qualità gestionale, e stiamo osservando che anche il mondo del credito (non solo Banca Etica) sembra guardare con favore al fatto che siamo SB”.

Chi sono gli amici, e chi non è troppo amico?

“Gli amici sono quelli che si riconoscono nella relazione d’impatto: per noi le imprese e gli artigiani del territorio che aderiscono al modello di trasparenza, i clienti che si sentono più tutelati, altre imprese che hanno più volentieri a che fare con noi. Per noi il bilancio d’impatto è un patto con il territorio.

Gli altri sono tutti quelli che vedono la strategia SB cozzare con il loro business: più grande è il tuo impatto positivo sociale, territoriale, ambientale, e più saranno quelli che dovranno dare una spiegazione ai loro clienti e fornitori che va oltre il prezzo”.

Farete anche attività non profit? Che relazione avete o avrete con le organizzazioni del Terzo Settore?

“Noi siamo “profit”, ma è chiaro che come SB possiamo e dobbiamo investire per raggiungere gli obiettivi d’impatto ambientale, sociale e territoriale: in pratica è come dire che una parte dei profitti vanno per queste finalità. Ma non siamo un’impresa non profit, preferisco dire che siamo un’impresa con una forte connotazione etica incorporata nello Statuto e sorvegliata dalla legge”.

Che futuro vede per le SB?

“Penso che crescerà il numero delle SB – quelle convinte e quelle per opportunità – perché la forma SB è giovane, e per il momento ancora “oggetto di discussione”, ma penso che nei prossimi anni vedremo precisarsi meglio i contorni di questo modo di fare impresa, e forse troveremo nuove domande da farci sul ruolo sociale dell’impresa, anche di quella profit”.

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