E alla fine della galoppata sorge un dubbio con una serie di antitesi: il Terzo Settore ha più bisogno di persone buone o di persone competenti? Di piccole onlus o di grandi associazioni? Di cercare nuove frontiere nel privato o di dipendere dai sussidi del pubblico? Di volontari duri e puri o di capaci e generosi professionisti?
La discussione impazza. Siamo a un giro di boa. Gli ortodossi cercano di sfuggire alla scelta. Gli innovatori scalpitano per dimostrare chi vince. Nel mondo del Terzo Settore e del non profit il dibattito è caldo, perché mette in gioco l’identità. Ma siamo proprio sicuri che l’antitesi sia una scelta giusta? Che la soluzione al rebus sia il codice binario?
L’etica del dono può aiutarci a non cadere nell’inganno e ci insegna che le antitesi non servono: mai più “aut-aut”, “o-o”, ma “e-e”, “l’uno e l’altro”. Da cui le antitesi superiori diventano: persone generose “e” competenti; piccole onlus “e” grandi associazioni; cercare innovazione nel privato “e” chiedere i sussidi del pubblico; cercare volontari duri e puri “e” professionisti capaci.
Etica del dono significa perdere il primato del donatore, spesso egoistico, mettendolo sullo stesso piano del destinatario. L’io diventa tu e viceversa. La donazione non è la gratificazione personale, ma la soluzione dei problemi degli altri considerati come parte viva della propria comunità sociale. Ciò significa che la donazione sbilancia il proprio io sul tu che rischia di diventare più importante dell’io. Ma si corregge subito quando l’io e il tu diventano “noi”, il trampolino per ogni azione efficace e di ogni strategia “win win” (W.P.).