“Il Governo considera necessario alla luce di quanto sopra esposto procedere ad un’opera di complessiva modernizzazione dell’impianto dell’ordinamento del lavoro in Italia nell’ambito di uno “Statuto dei Lavori” che riprende alcune idee progettuali già circolate nel corso della precedente legislatura, spunti che il Governo intende valorizzare pienamente pervenendo ad un organico progetto riformatore sul quale si chiede il concorso dei soggetti istituzionali e sociali.
Nell’accingersi a progettare un disegno riformatore di ampio respiro, occorre tener conto dei vincoli di appartenenza dell’Italia a organismi sopranazionali, unitamente alle logiche della globalizzazione e dell’internazionalizzazione dei mercati, ciò che impone di prendere le mosse da due documenti di particolare rilievo a livello internazionale: la Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del lavoro sui principi e diritti fondamentali sul lavoro, approvata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel giugno del 1998, nonché la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea proclamata a Nizza lo scorso 7 dicembre. La Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sancisce quattro diritti fondamentali (la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato od obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro minorile; l’eliminazione di ogni discriminazione sul lavoro e nell’accesso all’impiego. La “Carta” dell’Unione Europea, accanto a questi diritti fondamentali, ne indica in modo dettagliato una serie ulteriore, tra cui il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata; alla informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa; di accedere a un servizio di collocamento gratuito; alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato; a un equo compenso; a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose; di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali, alla protezione dei dati personali. A prescindere dal valore giuridico di questi documenti, in essi sono indubbiamente contenuti alcuni principi profondamente radicati nella tradizione culturale europea e, segnatamente, italiana. A ben vedere, si tratta di principi e diritti formalmente sanciti dalla Carta Costituzionale del 1948.
A seguito dei profondi mutamenti intercorsi nell’organizzazione dei rapporti e dei mercati del lavoro, il Governo ritiene che sia ormai superato il tradizionale approccio regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo, il lavoro nella grande impresa al lavoro in quella minore, il lavoro tutelato al lavoro non tutelato. È vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e della dignità del prestatore di lavoro, all’abolizione del lavoro minorile, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, al diritto a un compenso equo, al diritto alla protezione dei dati sensibili, al diritto di libertà sindacale. È questo zoccolo duro e inderogabile di diritti fondamentali che deve costituire la base di un moderno “Statuto dei Lavori”.
Occorre precisare che il riconoscimento di questi diritti fondamentali a tutti lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi (datori di lavoro, imprenditori, enti pubblici, committenti, ecc.) non risponde solo ed esclusivamente a istanze di tutela della posizione contrattuale e della persona del lavoratore. È vero anzi che il riconoscimento di standard minimali di tutela a beneficio di tutti i lavoratori rappresenta ̶ oggi più che nel passato ̶ anche una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, arginando forme di competizione basate su fenomeni di “dumping sociale” (dal lavoro nero tout court a forme di sfruttamento del lavoro minorile, ecc.).
Partendo dunque dalle regole fondamentali, applicabili a tutti i rapporti di lavoro a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, è poi possibile immaginare, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione sempre più circoscritti e delimitati, operando un’opportuna graduazione e diversificazione delle tutele in ragione delle materie di volta in volta considerate e non (come nel vecchio ordinamento) a seconda delle tipologie contrattuali di volta in volta considerate. Dunque, non si tratta di sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori (ivi comprese le collaborazioni coordinate e continuative). Non può certo essere condiviso l’approccio – proposto senza successo nel corso della precedente legislatura – di estendere rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all’interno del lavoro dipendente.
Individuato, dunque, un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili (soprattutto di specificazione del dettato costituzionale), comuni a tutti i rapporti negoziali aventi ad oggetto esecuzione di attività lavorativa in qualunque forma prestata, occorrerà procedere a una rimodulazione delle tutele caratteristiche del lavoro dipendente. Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili, sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale (a seconda del tipo di diritto in questione). A ciò dovrà aggiungersi un corrispondente riassetto delle prestazioni previdenziali.”